SUL “TRIBUNALE DELLE IMPRESE”/I

Si è letto sulla stampa che, con il decreto legge sulle “liberalizzazioni”, il Governo avrebbe istituito il Tribunale delle Imprese, con l’obbiettivo di rendere più rapido ed efficiente il contenzioso che coinvolge le imprese e di restituire fiato all’economia e fiducia agli investitori stranieri.

L’articolo 2 del decreto s’intitola “il Tribunale delle Imprese”, ma il suo contenuto tradisce il titolo della norma e, riteniamo, i giusti obbiettivi del Governo.
Non vi sarà un Tribunale delle Imprese, e cioè un giudice specializzato con competenza territoriale ampia e dotato di risorse, anche informatiche, adeguate che si occuperà dei conflitti dell’impresa e dei conflitti tra imprese. Vi sarà, invece, con un colpo di penna, il trasferimento di migliaia di fascicoli riguardanti specifiche e selezionate materie, certamente complesse, dalla maggior parte dei tribunali italiani a 12 grandi uffici giudiziari, ai quali sono attribuite dal luglio 2003 le controversie in materia di proprietà industriale ed intellettuale.
Il decreto legge non considera se si tratti di tribunali sofferenti; non crea nuove sezioni specializzate con competenze esclusive; non attribuisce nuove risorse umane e materiali ai “tribunali delle imprese”; non prevede la possibilità che tali “tribunali delle imprese” si avvalgano di competenze e professionalità maturate nel settore societario da giudici dei tribunali ordinari; non prevede la verifica di una pregressa formazione per il giudice dell’impresa; prevede invece la quadruplicazione del contributo unificato che, vale, secondo la relazione che accompagna il provvedimento legislativo, 7,7 milioni di euro l’anno, destinati all’Erario.
Siamo contrari a questo modo di legiferare.
Critichiamo innanzitutto che si modifichino le norme di diritto processuale civile per decreto legge.
Contestiamo poi interventi improvvisati sull’organizzazione giudiziaria.
Chiediamo invece, da anni, un approccio moderno all’organizzazione della giustizia, che sia basato sullo studio e sulla conoscenza dei dati statistici e dei flussi di affari, sull’investimento e sulla distribuzione di risorse adeguate all’obbiettivo di un processo di durata ragionevole per tutti i cittadini.
Un’organizzazione giudiziaria moderna considera la specializzazione dei giudici come uno strumento di efficienza e di qualità della risposta giudiziaria e non esclude la concentrazione della materia dell’impresa in tribunali con ampia competenza distrettuale; ma presuppone che tali tribunali siano concepiti con previsione di risorse materiali ed informatiche e con competenze tecniche adeguate a gestire il flusso degli affari.
Il decreto legge non raggiunge nessuno degli obbiettivi che si propone ed avrà l’unico effetto di appesantire i dodici tribunali distrettuali.
Determinerà problemi di competenza per materia, perché esso ritaglia artificiosamente, nell’ambito del settore societario, alcune sottomaterie per lo più, ma non esclusivamente, riconducibili alle società per azioni ed individua nella nozione di controllo societario (che presuppone un complesso accertamento in fatto ) l’estensione della competenza accentrata per le controversie riguardanti altri modelli societari.
Avrà l’effetto paradossale di ritardare la risposta giudiziaria di quei tribunali su cui sarà riversato il nuovo contenzioso.
Avrà l’effetto di distinguere il “fare impresa” di fronte alla giustizia, a seconda che ad operare siano società per azioni ovvero altre società, sottovalutando che anche piccole e medie imprese, su cui si basa larga parte dell’economia italiana, necessitano di accesso ad una giustizia rapida e di qualità.
Darà attenzione più ai conflitti societari interni, che all’efficienza della risposta giudiziaria in materia di contratti d'impresa e di insolvenza civile commerciale, cui il decreto legge non guarda, sebbene condizionino molto di più la vita economica delle imprese.
Riteniamo che possa rivelarsi una riforma non a saldo zero, ma a saldo negativo per le imprese e per le persone che attendono risposta alla domanda di giustizia.
Assai maggiori benefici per il mercato si potrebbero determinare con mirati investimenti sulla telematica giudiziaria, come dimostrano i dati economici sugli effetti dell’introduzione della informatizzazione delle procedure esecutive e concorsuali e del decreto ingiuntivo telematico, attualmente attivato solo in un numero limitatissimo di uffici.
Ci rendiamo conto che si tratta di un segnale inviato agli investitori stranieri, per indurli ad insediarsi in Italia. Crediamo che la realizzazione di questo obbiettivo giustifichi una maggior cura dello strumento attuativo.
Luca Perilli, Giudice del Tribunale di Rovereto
Elena Riva Crugnola, Presidente di Sezione del Tribunale di Milano
Pasquale D'Ascola, Consigliere della Corte di Cassazione
Luca Minniti, Giudice del Tribunale di Firenze